Orecchie e cervello lavorano insieme per uno scopo comune: consentirci di confrontarci con il mondo circostante grazie al fondamentale senso dell’udito. Quando ascoltiamo una conversazione infatti, il nostro cervello svolge quattro attività fondamentali:
- orientamento, grazie ad entrambe le orecchie che ci aiutano a capire cosa c’è nel nostro ambiente;
- riconoscimento, perché il funzionamento del cervello dipende dalla sua capacità di riconoscere ciò che ci circonda per dargli un senso;
- focalizzazione, che avviene soprattutto nelle situazioni rumorose, quando il cervello è in grado di selezionare fra i suoni presenti quelli utili al nostro scopo;
- separazione, fra i suoni uditi per distinguere suoni e rumori di fondo.
Per ottenere questi risultati il nostro cervello usa entrambe le orecchie. Ma è importante sottolineare che la comprensione del linguaggio è un processo cognitivo – accade cioè nel cervello. Partendo da questo principio i laboratori di Oticon, l’Eriksholm Research Center a Helsingør, in Danimarca, hanno adottato un nuovo approccio per la creazione di soluzioni uditive: il BrainHearing ™.
Il metodo BrainHearing ™ si concentra sulla gestione del suono in modo da fornire al cervello l’immagine sonora più completa possibile. Come cambia la forma dell’orecchio quando sbadigliamo? Cosa succede al suono della nostra voce quando indossiamo un apparecchio acustico? In che modo la nostra capacità di comprendere ciò che qualcuno sta dicendo cambia in un ambiente rumoroso? Le risposte a domande come queste sono state usate da Oticon per capire quali siano i collegamenti critici tra udito, pensiero e comportamento umano e progettare apparecchi acustici di ultima generazione.
Quando un paziente sperimenta un’ipoacusia, usa più risorse cognitive per dare un senso al suono. Un’energia che potrebbe essere impiegata per altri compiti importanti come ricordare o stare al passo con la conversazione. Sulla base di elettroencefalogrammi (EEG) avanzati e misurazioni cliniche, i ricercatori indagano i processi cognitivi connessi all’attività uditiva. Grazie alla vicinanza fisica tra orecchio e cervello, questa misurazione nel condotto uditivo è molto efficiente: l’apparecchio acustico può per così dire leggere nel pensiero e trasformare automaticamente ciò che “legge” in una migliore prestazione uditiva.
Per esempio, in un ambiente con più persone che parlano, registra più voci e poi le distingue l’una dall’altra, stabilendo, in base alle onde cerebrali, su quale voce o quale suono di quest’ambiente l’utilizzatore voglia concentrarsi e amplificando il relativo segnale. Un primo passo verso quello che si spera di ottenere in un prossimo futuro: apparecchi acustici in grado di capire chi o cosa l’utilizzatore voglia sentire, che sappiano di conseguenza regolare automaticamente l’elaborazione dei segnali. Tutto ciò si tradurrà in un minore sforzo uditivo e quindi in un minore affaticamento per l’utilizzatore e avrà effetti positivi anche sulla comprensione del parlato in ambienti con rumori di fondo.
Fonte: www.oticon.com