I primi apparecchi acustici risalgono alla fine del XIX secolo. Sono molto semplici: un microfono a carbone, un amplificatore, una pila e un auricolare. Ma sono strumenti ingombranti e per niente discreti.
Per poter vedere un passo in avanti bisogna aspettare il 1950, quando arriva sul mercato un piccolo apparecchio acustico a scatola, dalle dimensioni di 5 x 7 cm. Uno strumento compatto che integra microfono, circuito di amplificazione e vano pila, seguiti poi, dopo pochi anni,
dai primi apparecchi acustici retro-auricolari.
Ma è solo nel 1987 che arriva sul mercato il primo apparecchio acustico digitale. Da quel momento in poi la cosiddetta “rivoluzione digitale” ha letteralmente cambiato il mondo degli apparecchi acustici, restituendo la capacità di riscoprire i suoni ai soggetti con ipoacusia.
Eppure oggi, nonostante i grandi passi in avanti dal punto di vista tecnico-medicale, poco è stato fatto da un punto di vista estetico. Quasi ad assecondare lo stigma che accompagna l’ipoacusia ci si è preoccupati di ridurre le dimensioni delle soluzioni acustiche e di pubblicizzarne la loro invisibilità: dal momento che l’ipoacusia non “si vede” e la si riconosce soltanto nel momento di comunicare, l’uso di un apparecchio acustico rischia di rendere visibile l’handicap invisibile per eccellenza. Un problema che spinge molte persone a rimandare l’adozione di soluzioni acustiche per l’ipoacusia. Un ritardo con conseguenze irreparabili perché nell’ipoacusia il successo della terapia protesico-riabilitativa dipende in larga misura dalla tempestività di intervento.
Sul tema, il magazine ORL.news ha intervistato Maria Rita Canina, Ph.D in Disegno Industriale e biodesigner, PostDoc Associate al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e docente di Disegno Industriale presso la Scuola del Design del Politecnico di Milano, dove è incaricata, tra l’altro, del coordinamento scientifico di IDEActivity Center e del Laboratorio di Biodesign.
Secondo la dottoressa Canina il problema è soprattutto a livello di percezione e accettazione da parte dell’utente, perché gli ausili uditivi «vengono percepiti come dispositivi che vanno a ‘colmare una mancanza’, e dunque non è sufficiente migliorare la tecnologia, ma bisogna agire progettando un sistema-prodotto che tenga conto dell’aspetto formale, dei desideri dell’utente, e che rispetti i requisiti di indossabilità dal punto di vista percettivo, psico-fisico e socio-culturale.
L’ostacolo maggiore è forse quello socio-culturale, soprattutto per il nostro Paese. Nel nord Europa infatti è molto più facile trovare utenti che indossano protesi ‘a vista’ (ad es. d’arto) mentre noi tendiamo a utilizzare rivestimenti estetici che simulano il reale.»
Usare però un approccio design oriented, inserito nella branca delle wearable technologies, potrebbe essere la soluzione. Sempre secondo Canina infatti «Il metodo di progettazione sviluppato presso Biodesign Lab del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano integra aspetti di wearability a un approccio user centered. Il nostro metodo prende in considerazione l’interazione tra la forma fisica degli oggetti, l’antropometria del corpo umano e il loro rapporto con gli aspetti di comfort psicologico e socio-culturale. Penso che in questo scenario, in cui un fattore di estrema importanza è l’esperienzialità intrinsecamente legata all’identità stessa degli individui, gli attuali apparecchi acustici abbiano ancora delle carenze dal punto di vista progettuale. Mentre in termini di accettazione sociale, attraverso un corretto design, potrebbero diventare un ‘ornamento estetico e funzionale’.»
Nel momento della progettazione di un nuovo apparecchio acustico bisognerebbe dunque seguire nuovi principi: «I termini salute, benessere e comfort hanno assunto con il tempo un’accezione sempre più evoluta e sofisticata. Così come la salute e il benessere non coincidono più soltanto con la cura o la mancanza di malattie, oggi il comfort non è solo il risultato di prestazioni efficienti da parte di un prodotto. La forte integrazione tra molteplici fattori quali gli aspetti materiali e quelli culturali, gli elementi fisiologici e quelli psicologici ed emotivi, diventa caratterizzante per il nuovo significato dei termini. È ciò che nel linguaggio del design viene definito sistema-prodotto in cui gli aspetti tecnologici, estetici, ergonomici e comunicativi hanno, nella progettazione, lo stesso peso e vengono trattati come parti essenziali per l’accettazione di un prodotto.»
E passare cioè dall’approccio del design tradizionale, espresso come “la forma segue la funzione”, al criterio secondo cui “la forma e la funzione seguono la user experience“, evidenziando un approccio centrato sull’essere umano e sull’esperienza dell’utente.
Fonte: https://orl.news