Si chiamano Fabio Benfenati, Guglielmo Lanzani e Grazia Pertile i principali autori di un’innovazione che promette di combattere molte patologie che afferiscono la retina: una protesi liquida artificiale che potrebbe contrastare gli effetti di malattie come la retinite pigmentosa o la maculopatia, che portano alla degenerazione dei fotorecettori della retina con conseguente cecità. La buona notizia, recentemente uscita su Nature Nanotechnology, si basa sullo studio di una sostanza acquosa in nanoparticelle fotoattive che possono sostituire i fotorecettori danneggiati.
«La nostra soluzione – spiega Guglielmo Lanzani, direttore del Centro IIT-CNST di Milano – è biomimetica, cioè offre un’alta risoluzione spaziale ed è costituita da un componente acquoso in cui sono sospese nanoparticelle polimeriche fotoattive, del diametro paragonabile a 1/100 di un capello umano.» La retina artificiale, impiantata in modelli animali portatori di una mutazione spontanea in uno dei geni implicati nella Retinite pigmentosa umana, è stata in grado di ripristinare il riflesso pupillare, le risposte corticali elettriche e metaboliche agli stimoli luminosi, la capacità di discriminazione spaziale (acuità visiva) e l’orientamento degli animali nell’ambiente guidato dalla luce.
«Questo importante recupero funzionale – continuano i ricercatori – è rimasto efficace per oltre 10 mesi dopo l’impianto della retina artificiale, senza causare infiammazione dei tessuti retinici o la degradazione dei materiali costituenti la protesi.» Il team precisa che questo approccio rappresenta un’importante alternativa ai metodi utilizzati fino ad oggi per ripristinare la capacità fotorecettiva dei neuroni.
«In particolare – afferma Benfenati – la protesi consiste in un doppio strato di polimeri organici alternativamente semiconduttore e conduttore stratificati su un base di fibroina, una proteina che in natura costituisce la seta. Questo dispositivo è in grado di convertire gli stimoli luminosi in un’attivazione elettrica dei neuroni retinici risparmiati dalla degenerazione. In questo modo, la stimolazione luminosa dell’interfaccia provoca l’attivazione della retina priva di fotorecettori, mimando il processo a cui sono deputati i coni e bastoncelli presenti nella retina sana.»
«Speriamo di riuscire a replicare sull’uomo gli eccellenti risultati ottenuti su modelli animali», commenta Grazia Pertile, direttore del Dipartimento di Oftalmologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.
«L’obiettivo – scrivono gli esperti – è quello di ripristinare parzialmente la vista in pazienti resi ciechi dalla degenerazione dei fotorecettori che si verifica in numerose malattie genetiche della retina come ad esempio la retinite pigmentosa.»
Fonte: www.nature.com