Cercare di comprendere l’origine dell’acufene ancora oggi è tutt’altro che semplice. Se è ormai accertato che si tratta del disturbo uditivo più comune, al punto che ne soffrono ben 750 milioni di persone al mondo (circa 4 milioni solo in Italia), le condizioni che possono causarlo restano invece così variabili che solo una diagnosi personalizzata può permettere una comprensione più chiara della natura del disturbo per ciascun paziente, così da prescrivere le migliori soluzioni per prevenire o attenuare il più possibile i sintomi nella vita quotidiana.
Diverse teorie nel tempo hanno cercato di spiegare le possibili cause dell’acufene, alcune rimaste senza conferma. Una di queste individua la genesi del disturbo nella cosiddetta “degenerazione neurale cocleare (CND)”.
Acufene e Degenerazione Neurale Cocleare
Chi soffre di acufene lo descrive in genere come “suono fantasma” non udibile all’esterno, ovvero un fischio, un ronzio, un sibilo o più raramente come una pulsazione in sincrono con il battito cardiaco, che si ripete costante in una o in entrambe le orecchie.
Secondo una nuova teoria formulata dal gruppo di ricerca guidato dal Dott. Stéphane F. Maison del Massachusetts Eye and Ear, centro affiliato alla Harvard Medical School, questi sintomi sarebbero collegati ad uno stato di iperattività cerebrale innescato da una sinaptopatia cocleare, anche definita come “perdita dell’udito nascosta”.
Più precisamente, questo studio pubblicato su Scientific Reports (Fonte: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38036538/) suggerisce che, in presenza di un danno al nervo acustico, il cervello diventi iperattivo per cercare di compensare la perdita dell’udito, e che questa condizione di iperattività provochi la percezione del suono/rumore fisso tipico dell’acufene. La teoria che associa l’acufene a una perdita significativa del nervo uditivo, inizialmente contestata poiché non sembrava spiegare come il disturbo potesse manifestarsi anche in persone con udito sano, è stata rivalutata in seguito a un esperimento condotto dal team del Dott. Maison su quasi 300 persone tra i 18 e i 72 anni, compresi i pazienti con test uditivi normali. I partecipanti allo studio sono stati divisi in tre gruppi sulla base del tipo di acufene riferito: tra questi, 201 persone senza acufene (eccetto episodi di suono fisso temporaneo); 64 persone con acufene intermittente (per periodi inferiori a 6 mesi); e 29 persone affette da acufene cronico (da oltre 6 mesi).
Il campione è stato quindi sottoposto a una serie di test per esaminare numerosi aspetti: dall’elaborazione del suono alle risposte sensoriali delle cellule ciliate nell’orecchio interno, ai riflessi uditivi del tronco encefalico.
In particolare, a un primo esame audiometrico del puro tono tutti i partecipanti sono risultati nella norma; in seguito, misurando la risposta del nervo uditivo, che trasporta le informazioni sonore dalle cellule ciliate sensoriali al cervello, i ricercatori hanno scoperto che i pazienti con acufene cronico mostravano un riflesso più debole in risposta ai suoni nel nervo cocleare rispetto agli altri partecipanti al test, eppure avevano una maggiore attività nei nervi correlati nel tronco encefalico.
Questi risultati hanno permesso ai ricercatori di avvalorare la tesi secondo la quale un ridotto funzionamento del nervo cocleare induce un’iperattività nel cervello causando suoni fantasma, e che l’acufene può essere innescato da una perdita del nervo uditivo anche in persone con test uditivo normale.
Ad oggi, tuttavia, è necessario compiere ulteriori studi per spiegare come mai non tutte le persone che presentano un danno alla coclea soffrono di acufene, e quali siano quindi i fattori che possono contribuire allo sviluppo del disturbo. Solo la ricerca futura potrà chiarire i meccanismi alla base dell’acufene per arrivare finalmente a silenziarne i sintomi.
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